Prefazione
“Er barcarolo va controcorente e quanno canta l'eco s'arisente. Se è vero, fiume, che tu dai la pace...”. Quante volte abbiamo ascoltato e, perché no, canticchiato questa canzone romana, scritta da due fiumaroli dell'epoca, Romolo Balzani e Pio Pizzicaria? Ma solo chi ha messo lo zeppo, il remo, in acqua sa quali sensazioni ti regala il gesto del barcarolo. Solo col suo fiume, in diretto contatto con Dio. Un abbandono che ti riempie l'anima e ti fa dimenticare tutte le disgrazie del mondo. Che ti pulisce dentro, ti rende nuovo. Quel barcarolo sapeva come misurarsi col fiume, respirare la sua aria, sentirsi uno spirito libero in una specie di catarsi con la natura. Vogare è come sciare nella neve fresca inseguendo il sole fino a dentro l'orizzonte, facendo il pieno di energia. E il sudore che scende lungo il tuo corpo trasformarsi in una spezia divina. Sì, è tutto vero. A fiume c'è l'eco che s'arisente. Quando mio padre mi portava con sé al timone del 4 o 8 iole - facendomi sedere su una tavola messa sotto le sue gambe - all'altezza di Ponte Risorgimento fermava l'equipaggio e mi chiedeva di gridare il mio nome sotto la volta del ponte. “Piero, Pierooo!” e l'eco mi accompagnava per pochi secondi. Il mio cuore era felice come non mai, guardandomi indietro come se ci fosse qualcuno ad accompagnarci nella scia. La iole scivolava lenta, controcorrente come quella del barcarolo, facendo attenzione a non strozzare il colpo all'uscita e frenare la corsa. Poi attenzione al mulinello traditore che te porta giù all'improvviso e te toje er respiro. Come la Ninetta Bella cantata nel “Barcarolo romano”. All'epoca non c'era ancora Tigellino, custode sovrano del Tevere, per poterla trarre in salvo.