PREFAZIONE
di Adriano Pennino
Una frase di un virtuoso sassofonista americano nato nel 1930, Ornette Coleman, recita “ La tecnica e’ necessaria perche’ si possa suonare in maniera naturale, nel senso che ti permette di essere naturale e non di sembrarlo solamente”. Questa frase spingeva Vittorio, me e gli altri ragazzi del gruppo a trascorrere ore e ore sullo strumento cercando di carpirne tutti i segreti.
Erano gli anni Ottanta e avevamo poco più di vent’anni. I tour duravano quattro mesi e si facevano sessanta concerti in tutta Italia. Tra uno spostamento e l’altro, parlavamo spesso di musica e di come avremmo potuto suonare meglio un brano appena eseguito, traendo ispirazione dai miti che ognuno di noi aveva idealizzato e preso a modello.
Con Vittorio ascoltavamo i dischi suonati da Steve Gadd , tra i session men più eclettici e richiesti soprattutto a causa della sua predilezione per il latin-jazz. Discutevamo di come avesse scomposto delle figurazioni ritmiche semplici, quasi bandistiche, applicandole poi come fraseggio ciclico spostato sul tempo con delle variazioni timbriche, tanto da inventare un linguaggio modernissimo, valido per tutti i generi.
Durante i viaggi in automobile, ogni brano ascoltato era occasione di scambio di punti di vista. Stile, tecnica, intuizioni, personalità, fluidità nell’esecuzione: tutto era oggetto di confronto tra noi e poi, quando verso le quattro del mattino finivamo per parlare di vita e di sogni, avevamo chiaro che avremmo fatto di tutto per vivere sempre la nostra vita nella musica. Già allora Vittorio viaggiava in due direzioni: da una parte era curioso di sperimentare altri modi di suonare lo strumento, dall’altra era sempre attento ad eseguire nel migliore dei modi la musica che gli veniva richiesta.
Negli anni ha approfondito in maniera febbrile lo studio della batteria e, unendo questa dedizione allo studio a tanta esperienza, ha inventato un linguaggio personale molto elegante e fluido tanto da rendere inconfondibile il suo stile e il suo groove, nel quale ancora oggi, dopo avere lavorato con tanti batteristi di livello internazionale, ritrovo sempre un po’ di me stesso.
Vittorio mi riporta a linguaggi e stili noti, cresciuti con noi man mano che le nostre esperienze andavano a sommarsi alle conoscenze tecniche e culturali.
“Rivolti Ritmici”, primo metodo per Batteria, per me rappresenta un’ intuizione davvero geniale. A tratti mi fa pensare a Bach con le sue architetture di suoni e le sue invenzioni grafiche, temi musicali suonati e poi invertiti e poi spostati e poi eseguiti con altre sonorità .
Vittorio, forte di una trentennale carriera trascorsa sul palco e nelle sale di incisione, non si limita a descrivere un metodo e la sua applicazione ma sviluppa un concetto di “attuabilita’ musicale “ dello stesso ad ogni genere musicale, rendendolo uno strumento di ricerca che ogni musicista puo’ utilizzare uscendo dallo schema di classico esecutore.
Ecco, alla luce di questa sua nuova esperienza, credo che la virtu’ principale che in questi anni piu’ ho potuto apprezzare di Vittorio “artista” sia stata quella di aver saputo agire il cambiamento evolvendosi, mettendosi in discussione e traendo continuo insegnamento dalle esperienze personali e professionali senza restare ancorato alle idee della nostra generazione cresciuta in un periodo in cui sembrava che nella musica tutto fosse stato gia’ inventato. Ogni volta che lo incontro, ormai non più quotidianamente, ritrovo il suo entusiasmo di quando ancora ragazzi affrontavamo le prime prove e il mondo della musica aveva ancora tante sfaccettature da rivelarci, e percepisco, immutata, la sua capacità di rappresentare situazioni attuali o passate vissute insieme, sempre orientato a riconsiderare pensieri o azioni.
In definitiva, il mio amico Vittorio Riva e’ una sorta di Robinson Crusoe che non avendo più libri da leggere e studiare ha iniziato a scriverli da sé.